Rivoluzione in Atac: via 52 dirigenti pubblici

QUELSI

Roma, 12 febbraio 2016

 

La folle idea di Marco Rettighieri: cacciare via tutti i dirigenti di Atac. A una settimana esatta dalla sua nomina, il nuovo direttore generale della municipalizzata dei trasporti è deciso ad azzerare tutto e ricominciare da capo. Una soluzione estrema maturata in questi sette giorni, durante i quali i fedelissimi del nuovo numero uno hanno girato in lungo e in largo depositi e rimesse ed hanno scartabellato bilanci e dossier. La scadenza chiave è il 18 febbraio, quando si svolgerà la prima assemblea dei soci dell’era Rettighieri. 

 

In quella sede, l’ex general manager di Expo 2015 potrebbe proporre una macrostruttura leggerissima, con appena 10 dirigenti a capo di altrettante macro aree e l’assegnazione ai quadri dei servizi operativi. Tra l’altro, il nuovo management verrebbe individuato ex novo, con l’eccezione di due o tre persone salvate dalla “mattanza” dei dirigenti d’oro (con stipendi che fanno da 80mila fino ad oltre 200mila euro l’anno). L’organigramma dovrebbe prevedere le direzioni superficie, metropolitane, ferrovie, amministrazione e finanze, area legale, depositi, risorse umane, nuove tecnologie, marketing e comunicazione e sicurezza.

È evidente che un’operazione del genere andrebbe incontro a una serie infinita di ricorsi. Alcuni degli attuali 52 dirigenti potrebbero chiedere, al posto della buonuscita economica, un reintegro fra i quadri aziendali, ovviamente con stipendio anche dimezzato. Nonostante i pessimi risultati dal punto di vista economico (nel 2014 perdita economica da 141 milioni di euro, quarto anno di fila), non tutto il lavoro sarebbe da buttare. Ma ci sono alcuni manager che potrebbero essere tagliati anche prima del 18 febbraio. Finora Rettighieri ha licenziato l’ex capo del Personale, Giuseppe Depaoli, e sospeso Luca Masciola (Relazioni Industriali), Gian Francesco Regard e Franco Middei (Affari Legali) ed Emilio Cera (Marketing). Sotto osservazione ci sono anche il direttore della Superficie, Roberto Monichino, responsabile secondo i nuovi vertici di aver fatto perdere all’azienda ben 7 milioni di km nel 2015, ed Emanuele Rinaldi, padre della procedura di licenziamento collettivo dei lavoratori, conclusasi in una bolla di sapone e decine di ricorsi. Sul patibolo anche Antonio Gennaro Maranzano, direttore del settore metroferro, e Pierluigi Pelargonio, sulla cui testa pende il dossier presentato in Procura dall’ex assessore Stefano Esposito riguardo agli appalti della vigilanza e alla manutenzione delle telecamere.

Certo, se Rettighieri dovesse riuscire in questo suo intento, si renderebbe indubbiamente autore di una rivoluzione epocale nella storia recente dell’azienda e, forse, dell’amministrazione capitolina in generale. Dopo la fusione con Me.Tro. e Trambus, infatti, la municipalizzata era arrivata a toccare anche quota 100 dirigenti. Ognuno di loro, al di là delle competenze e della professionalità, apparteneva (ed appartiene tuttora) ad una famiglia politica. Prima sotto l’amministrazione Rutelli e poi con quella di Veltroni, i vertici che si sono succeduti hanno rimpinguato gli uffici di uomini che facevano riferimento a precise correnti politiche e affidato incarichi con i criteri “scritti” da Cencelli, più che in base alle competenze. Con l’amministrazione Alemanno, al monopolio di centrosinistra si è unito a questo elenco anche il correntone di centrodestra (con le varie espressioni di partito) e perfino le nomine arrivate dall’alto. Dopo l’esplosione dello scandalo Parentopoli, l’arrivo dell’era Marino ha segnato un certo dimagrimento (da 94 i dirigenti sono scesi fino agli attuali 52), ma da parte dell’ex assessore Guido Improta è forse mancato il coraggio di eliminare definitivamente le correnti e ricominciare da capo, finendo egli stesso vittima delle faide interne e di dirigenti di fiducia che hanno deluso le aspettative.